La rivoluzione del codice binario: quando la realtà diventa accessorio del nostro futuro

L'inizio del terzo millennio ha visto la destabilizzazione della "teoria della prova". Tutto è registrato, con la convinzione che "un giorno servirà", in un presente di sicurezze e angosce...

L'evento forse più complesso da descrivere in questo inizio del terzo millennio è la destabilizzazione della cosiddetta “teoria della prova”. Come giurista ho la fortuna di avere un punto di osservazione piuttosto limpido su come vengono usate le prove, ma il tema non riguarda certamente solo il diritto. La teoria della prova è stata destabilizzata a causa della digitalizzazione del mondo. O meglio, a causa dell'incredibile stabilità del mondo digitale fornita dalle banche dati e dell'efficacia del codice binario.

Facciamo un passo indietro. Alcuni secoli fa abbiamo cominciato a osservare il mondo da un nuovo punto di vista empirico e sempre meno religioso. Abbiamo cominciato a chiederci se ci fossero delle leggi naturali che dominavano tutte le manifestazioni del mondo. Non è che prima non avessimo un'idea della natura. L’idea che per sopravvivere devi nutrirti e che quella è la natura dell'uomo (non dei sassi) era ben conosciuta. Ciononostante, le “cose” non erano cose come lo sono oggi. Le cose avevano una loro dimensione mistica, erano espressione della volontà divina. Dio non è stato subito espulso dalla scienza, ma è sempre di più diventato una premessa anziché il motore della realtà. La teoria della prova moderna nasce da questo sforzo di scoperta, compiuto anzitutto da parte di una comunità epistemica che possiamo chiamare “gli scienziati”.

Per il diritto, il passaggio alla teoria della prova moderna ha comportato la secolarizzazione della verità. La prova è passata dall'essere un allineamento dei requisiti formali e di certificazione divina all'essere una costruzione probabilistica della realtà del conflitto fra le parti nel passato. Lo vediamo soprattutto nell'Ottocento, quando i giudici passarono al cosiddetto “libero apprezzamento” delle prove. Non è che prima fossero tutti cretini eh. C'è sempre stata consapevolezza che c'è un qualcosa di assurdo, di arcano, a dover decidere dopo su fatti accaduti prima, statuendo peraltro su una situazione in cui il giudice non c'era. Come fai a dire la verità se non c’eri e non hai visto niente? La novità Ottocentesca stava nella costruzione di un nuovo rapporto psicologico fra il giudice e la realtà passata. Il giudizio era ora un problema di convinzione e quindi tutti gli indizi potevano essere portati nel processo per determinare quale fosse la verità effettiva. Ecco che vediamo gli scienziati entrare nel processo, con le loro perizie.

Oggi il nostro rapporto psicologico con la prova sta cambiando. Ci stiamo abituando a registrare tutti i fatti del mondo, non sono più le perizie a far girare il sistema. Le banche dati registrano in tempo reale qualsiasi evento. Pensiamo, altro esempio, a quegli assassini ripresi dalle videocamere di sorveglianza. La registrazione del mondo in diretta ci permette addirittura di prevedere il futuro. Pensiamo ad esempio alle inondazioni avvenute in Germania due anni fa nella Ahrtal, che hanno causato 180 morti: erano state ampiamente previste dai calcoli scientifici (ma l'amministrazione non seppe informare adeguatamente la popolazione). Nella nostra quotidianità è come se vivessimo in due mondi: uno è reale, l’altro è la registrazione del mondo reale. Ovviamente, quando sappiamo che il mondo reale è stato registrato, le nostre aspettative sul passato (!) cambiano. Non chiediamo più anzitutto di fare una stima di quello che è successo, ma anzitutto andiamo a cercare la registrazione di quello che è successo. Si passa quindi dalla probabilità all'aspettativa di esattezza.

L’aspettativa retrospettiva modifica a sua volta il nostro modo di intendere il presente: sentiamo il bisogno di registrarlo, perché “non si sa mai” che in futuro non ci sia bisogno di quella registrazione. E il motivo è fin troppo semplice: questa registrazione evita una marea di problemi futuri, perché ha il potenziale di rompere la cacofonia delle opinioni future. Per cogliere questo punto, basta pensare a quando siamo a mangiare la pizza con gli amici e ci chiediamo quando è morto Elvis Presley. Ormai nessuno si accontenta dell'opinione “1972” vs. “1977”. Il nostro automatismo è di andare online e cercare su Wikipedia, dove l’informazione è registrata e accessibile. 1977! E finisce la discussione (e forse anche la magia?).

Ora, io ho la fortuna/sfortuna di far parte della prima generazione di nativi digitali, la mia adolescenza è segnata del passaggio alla nuova teoria della prova. Il Bibo, il mio maestro di elementari, ci faceva giocare a “hockey” su un vecchio macintosh in bianco e nero. Mi ricordo come fosse ieri quando Zui arrivò con il nuovo Sony Ericsson tattile, e io poco dopo comprai il Natel che fa le foto, che dovevo salvare col cavetto sul PC. Ricordo anche quando gli abbonamenti del Natel passarono dal costo in base alle chiamate al costo in base all'utilizzo di internet. La novità dell’accesso H24 alla Rete ha sconvolto tutti. Tutti, senza eccezione, ci siamo attaccati (come un guinzaglio?) a un nodo della rete virtuale. Nel frattempo, la tecnologia delle banche dati diventava sempre più spaventosamente efficace. Mai un errore, il vostro conto in banca è sempre accessibile e mostra sempre lo stesso numero di soldi. Eppure, tutti quei dati non sono scritti in modo fisico e stabile su un foglio, ma sono fasci di luce e scritture che continuano a cancellarsi e a riscriversi. L'oscillazione del codice binario fra queste due piccole cifre, 1 e 0, è un’oscillazione perpetua e stabile in quanto oscillazione.

L’oscillazione continua a saltellare fra i suoi due elementi. Su quel saltellamento abbiamo costruito un castello di sicurezze. Grazie a quel saltellamento il sistema delle prove ha fatto un'accelerazione spaventosa. Le prove non sono più dei sentito-dire, delle fotografie prese fortunosamente, i risultati di appostamenti previsti minuziosamente dagli inquirenti, gli occhi di un infante che passava per caso dalla scena del crimine. Certamente: queste prove esistono ancora. Ma nessuno di noi può ignorare che stiamo costruendo quest'altra struttura di registrazione della realtà, un reticolo di videocamere che ci fa sentire sicuri. Il salvataggio dei nostri dati sul cloud online ci fa sentire sicuri. La certezza che le foto che facciamo coi nostri cellulari siano su un server da qualche parte nel pacifico ci fa sentire sicuri. Ma sicuri di cosa esattamente? Sicuri che domani nessuno potrà dire che oggi non abbiamo vissuto così.

Questa struttura, ovviamente, non da solo sicurezza, ma anche tremende angosce. Bisogna conformarsi. Tempo fa ho strappato un cartellone in un sottopassaggio di una stazione. Poi mi sono subito detto: “merda, speriamo che non ci sia una fotocamera”. Ognuno nella sua individualità può essere a disagio con determinati setting della società e avere bisogno di spazi di libertà. Quella spontaneità era legata anche a un certo laissez faire della vita. Eravamo, insomma, un po’ più fatalisti. Un po’ più coglioni. Se ti ammalavi era sfiga. Oggi invece se ti ammali te la sei cercata, non hai preso le precauzioni “nonostante sapessi (grazie ai calcoli disponibili online) che proprio là c’era un focolaio”. Siamo, insomma, tutti un po’ più colpevoli. La presunzione di innocenza è sostituita dalla presunzione di colpevolezza qualora non ci si attenga alla conformazione securizzata. Il senso di angoscia perdurante, soprattutto fra i giovani, è legato allo scostamento nella propria relazione con la realtà causato dal codice binario. D’altronde cresciamo leggendo le favole dei fratelli Grimm, quando la realtà e il fatalismo avevano altre forme.

La realtà, il presente, è oggi diventata anzitutto una prova. La realtà è oggi vissuta come accessorio del nostro futuro. Un futuro che però ci scappa di mano, perché riusciamo a vedere quello stesso futuro solo a tinte fosche. Crisi ambientali? Crollo delle rendite pensionistiche? Disordini strutturali causati dalla immigrazione? Aggressione bellica da parte di un dittatore Posto dall'altra parte del pianeta? Presa di controllo da parte dell'intelligenza artificiale? Superpoteri di alcune multinazionali? Lo stravolgimento della teoria della prova è intimamente legato ha una perdita di senso delle strutture linguistiche che davano stabilità al nostro presente, sostituite dalle profezie scientifiche di un futuro catastrofico. Ha perso senso il diritto come costruito in epoca liberale, ovvero come luogo in cui scrivere il futuro attraverso leggi politiche. La stabilità è oggi riposta altrove, ovvero nella sicurezza che tutti quanti avranno bisogno che la Rete e l'oscillazione del codice binario continuino a funzionare. Questa novità mediatica cambia le regole del gioco. Il giudice assume la nuova funzione di essere mero controllore notarile dell'avvenuta registrazione della realtà. Cambia la politica, il cui ruolo non è più quello di elaborare strutture dell'ordine ipotizzando un futuro radioso, ma quello di convincere la popolazione che le misure emergenziali sono prese effettivamente nel suo interesse (della popolazione), a garanzia della loro salvezza terrena in un mondo di poli-crisi.

L’epistemica della prova del mondo postmoderno ha causato che siamo diventati terribilmente contraddittori senza che questo sia considerato un problema. È così sentiamo tutti i giorni chi dice che Putin è un nazista e chi dice che Zelensky è un nazista. Chi ha ragione? Chi ha torto? I socialisti di Zurigo hanno eliminato le quote femminili, sostituendole con quote LGBTQI+. Che da ottica intersezionale è ottimo, ma dall’ottica di chi pensa ancora che ci siano due generi sessuali per natura significa aver ridotto le quote a favore delle donne. Di nuovo, chi ha ragione? Boh. D’altronde, non sappiamo più nemmeno se la classe operaia sia di destra o di sinistra. Questa confusione, impensabile negli anni ’70, non è casuale. Si tratta di una cacofonia nel presente che è possibile solo perché tutti quanti sappiamo che può essere assorbita nel futuro, grazie alla registrazione di quanto avvenuto nel passato (ovvero: nel presente). Proprio perché sappiamo il presente è registrato, siamo fiduciosi che nel futuro tutti sapranno capire qual è la verità – e quindi ci disinteressiamo della coerenza del presente. A prescindere che poi nel futuro ci capiscano sul serio qualcosa.

La verità nel presente non è quindi più un criterio rilevante per descrivere la propria società, perché il presente è in sé verità in quanto tale, in quanto prova.

Ovviamente tutto questo è pesantemente circolare. Non si capisce più cosa siano il passato, il presente e il futuro. Un bravissimo filosofo, Hans Ulrich Gumbrecht, chiama questa fase storica con il concetto di “presente ampio”. A me verrebbe piuttosto da chiamarla con il concetto di “presente vero”. Talmente vero che ognuno di noi sente il bisogno di continuare a metterlo in scena perché troppo vero.

Lezioni politiche da queste riflessioni non ce ne sono molte. Forse quella più importante è che dobbiamo parlare di più del codice binario, e del fatto che ne siamo diventati completamente dipendenti. Se così è, è un dovere anzitutto civico alfabetizzare tutti i nostri bambini alle logiche operative dell'informatica, così che possano costruire una cultura che interagisca, e non solo subisca, la realtà hardware e software della Rete.

 

Filippo Contarini, Parigi