Carbone, gelati, film... Il Clima è da presa per i fondelli

100 miliardi all’anno destinati dai Paesi ricchi per aiutare i Paesi poveri a combattere il cambiamento climatico. Ma solo una minima parte arrivano a destinazione. Alcuni progetti addirittura finiscono per aumentare le emissioni.

Nella Conferenza sul clima COP21 di Parigi, oltre agli impegni a ridurre le emissioni per mantenere il riscaldamento climatico “ben al di sotto dei 2 gradi”, i Paesi più ricchi e inquinanti si erano anche impegnati a stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi più poveri a ridurre le emissioni e gli impatti del cambiamento climatico.

 

Otto anni dopo, questo impegno finanziario, sembra tutto fuorché rispettato. Già numerosi rapporti hanno evidenziato come gli importi versati sono lungi dal raggiungere quelli pattuiti. Un rapporto dell’ong Oxfam ha messo in luce come nel 2020 a fronte degli 83,3 miliardi dichiarati la cifra reale va dai 21 ai 24,5 miliardi. Il resto è stato versato mediante prestiti, che vanno ad aggravare la già pesante situazione debitoria di molti Paesi in via di sviluppo.

 

Ora, un’inchiesta condotta da Reuters in collaborazione con Big Local News (programma di giornalismo della Stanford University) ha preso in esame 44mila documenti che i Paesi hanno depositato presso le Nazioni Unite per documentare i loro contributi. È emerso che dal 2015 al 2020 sono stati stanziati 182 miliardi (meno della metà rispetto a quanto stabilito a Parigi) e che, per di più, molti di questi sono destinati a progetti  che difficilmente possono contribuire alla salvaguardia del clima, come riferisce Il Fatto Quotidiano. Sono citati ad esempio progetti per la costruzione di centrali a carbone in Paesi del sud est asiatico da parte del Giappone.

 

L’inchiesta denuncia una mancanza di trasparenza, che rende impossibile “stabilire quanti soldi andranno a sforzi che aiutano veramente a ridurre il riscaldamento globale e il suo impatto”. Ciò perché i Paesi non sono tenuti a comunicare i dettagli dei progetti. In molti casi non viene identificato nemmeno il Paese a cui è andato il denaro. Dalle analisi è emerso che almeno 3 miliardi di dollari sono stati spesi in carbone, aeroporti, lotta alla criminalità o altri settori non legati al clima. 65 miliardi di dollari sono destinanti a progetti descritti in modo così vago che “è impossibile dire per cosa siano stati pagati i soldi”.

 

Nel calderone dei fondi sono fini, ad esempio, la cioccolateria e gelateria italiana Venchi, che ha aperto decine di nuovi punti vendita in Giappone, Cina, Indonesia e in Asia, riporta Il Fatto Quotidiano. Ci sono poi il sostengo a una produzione cinematografica da parte del Belgio (la storia d’amore fra un ex giocatore di rugby che lavora per una compagnia che disbosca foreste e un’attivista ambientale, circa 8mila dollari); progetti mai realizzati, come i 108 milioni che la Francia avrebbe dovuto versare per gli ammodernamenti degli aeroporti in Kenya.

 

Alcuni progetti poi addirittura aumentano le emissioni, secondo l’inchiesta. È il caso di una nuova centrale elettrica a carbone, finanziata dal Giappone, che aziende giapponesi stanno costruendo in Bangladesh. Lo Stato nipponico ha prestato 2,4 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima per questo progetto. La giustificazione è che senza la tecnologia giapponese le emissioni sarebbero state superiore del 6%. Altri 3,6 miliardi di "finanziamenti climatici" sarebbero previsti per centrali a carbone in Vietnam e Indonesia.